Al di là degli slogan, è incontestabile che le politiche migratorie, nazionali ed europee siano state al centro del dibattito e dell’azione politica dell’ultimo decennio. La tendenza è quella di un progressivo irrigidimento e di un approccio emergenziale che non riesce a cedere il passo a una visione più strutturale e a un’accoglienza più strutturata.
Il non ammettere che la realtà migratoria è ormai endemica impedisce l’elaborazione di politiche che non siano volte solo a contrastare, ma anche ad attivare dei processi di reale integrazione.
Tali processi permetterebbero di concretizzare il progetto migratorio di chi arriva e, parallelamente, di alleviare le fatiche di una società indiscutibilmente e inevitabilmente sempre più multiculturale.
Se questo paradigma è vero in generale, acquista un’importanza ancor più inviolabile quando si parla di minori stranieri non accompagnati. Ce lo dice la stessa Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo (ONU, New York 1959): “… l’umanità ha il dovere di dare al fanciullo il meglio di se stessa”.
Che cos’é meglio? Da dove si passa? Come si fa ad attivare dei processi di integrazione positiva? Queste sono solo alcune delle domande che si pone chi quotidianamente come noi si relaziona con minori che arrivano da culture lontane e che hanno scelto l’Italia per diventare grandi.
La scuola è senza dubbio strumento imprescindibile e motore di inclusione principale. Ciononostante per un minore straniero non accompagnato (MSNA) può non essere così scontato. Se è vero infatti, che i minori stranieri dovrebbero godere di pari diritti e opportunità in relazione agli studenti italiani, purtroppo la realtà rischia di essere un’altra. Basti pensare che secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e Merito, gli studenti iscritti al biennio scolastico 2020/21 con cittadinanza non italiana sono stati 865.388. Questi rappresentano solo il 10,3% del totale degli alunni iscritti, un dato che ha tuttavia bisogno di un’ulteriore specifica: solo il 33,3% di questi, infatti, sono minori stranieri non accompagnati, il restante 66,7% è rappresentato dalle II generazioni, ovvero tutti quei minori che sono nati e/o cresciuti in Italia, il cui inserimento scolastico è agevolato.
Per meglio analizzare quel 33,3% di MSNA è opportuno fare un distinguo: i ragazzi e le ragazze giunti in Italia ancora in età di obbligo scolastico devono per legge essere accolti dagli Istituti, gli ultra sedicenni devono invece accontentarsi di percorsi scolastici ben più limitati.
Nel primo caso, tuttavia, la sensazione è che non sempre le strutture siano in grado di garantire un “posto” per i minori stranieri under sedici. E non si tratta semplicemente di ritagliare uno spazio tra i banchi scolastici, ma rimanda piuttosto alla necessità di mettere in campo strumenti volti ad accompagnare i minori nel loro percorso di apprendimento e nella comprensione della lingua e della cultura italiana. A ciò va aggiunta un’ulteriore criticità: gli sbarchi non seguono il calendario scolastico e un minore giunto in Italia ben oltre il periodo d’iscrizione potrebbe dover aspettare il settembre successivo per poter iniziare a seguire le lezioni, perdendo così tempo prezioso.
Per i ragazzi e le ragazze ormai non più in obbligo scolastico, invece, il diritto allo studio viene ancora più svuotato: il diploma conseguito nel proprio Paese d’origine non ha alcun valore, di conseguenza le possibilità di iscriversi a Istituti superiori tendono allo zero. Il loro percorso scolastico è dunque affidato ai Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (CPIA), la cui offerta formativa, purtroppo, si riduce spesso a una manciata di ore settimanali e che, spesso, vedono i minori inseriti in classi per la maggior parte composte da adulti. L’obiettivo è dunque arduo: raggiungere in tempi record un discreto livello d’italiano per poter affrontare l’esame di terza media ed eventualmente, per i più temerari, proseguire verso formazioni professionalizzanti.
Riuscire ad ottenere questo tipo di certificazione diventa di vitale importanza per l’integrazione lavorativa. Per la maggior parte dei minori stranieri trovare un lavoro con cui aiutare le loro famiglie è il fine ultimo del loro viaggio. La mancanza di un diploma di terza media implica spesso l’esclusione da tutti quei corsi che potrebbero realmente insegnargli un mestiere, corsi che sono spesso proibitivi anche da un punto di vista economico. Ecco che l’unica alternativa valida resta il tirocinio. Anche in questo caso, però, le problematiche non sono poche. Da una parte, infatti, per poter attivare un tirocinio è richiesto un numero minimo di anni di frequenza scolastica, spesso di difficile certificazione. Dall’altra, la misura del tirocinio rischia di intrappolare i minori stranieri in una spirale di sfruttamento ed è per questo che, in realtà per tutelarli, i privati sono restii ad attivare questi tipi di contratti.
E poiché il percorso scolastico e l’inserimento lavorativo sono disseminati di ostacoli, si tenta con lo sport, mezzo d’integrazione per antonomasia. Ebbene, anche in questo caso non tutto è così semplice: il solo giocare a calcio con i propri coetanei e far parte di una squadra diventa impresa difficile. Il tesseramento FIGC ne è un lampante esempio: come spiegare a un bambino di 13 anni che potrà giocare in campionato solo se la Sottocommissione del FIFA Players’ Status decidesse di accordarglielo, mentre tutti i suoi compagni di squadra sono stati tesserati in un batter d’occhio? Anche in questo caso, misure messe in campo per tutelare, rischiano di ottenere il risultato opposto, ovvero di isolare e escludere. E la persona non accolta, esclusa e percepita come diversa, finirà per sentirsi e agire come tale.
Lungi da noi proporre delle soluzioni, ma pensiamo che elaborare politiche nazionali e, soprattutto, territoriali serie e investirvi delle risorse non sarà mai uno spreco ma un reale investimento per i ragazzi e le ragazze accolti e per l’intera società. Perché il mondo è una storia che si ripete, e un domani i figli che lottano contro i mulini a vento, lontani chilometri dai loro affetti, potrebbero essere i nostri.
In conclusione, una riflessione circa la realtà più vicina a noi e che ci tocca tutti i giorni pare d’obbligo. Per quanto riguarda la realtà della nostra regione, i dati ALFA raccontano una storia interessante: nel biennio 2021/22, risultano iscritti in Liguria circa 154.804 studenti, suddivisi fra scuola primaria e secondaria di I e II grado, in diminuzione progressiva rispetto agli anni precedenti. Di questi, 21.863 sono stranieri, il 14,1% del totale, e si concentrano per la maggior parte nelle classi delle scuole primarie (17,1%). Fra le classi di tutti gli istituti superiori della regione siedono solo 6.915 stranieri (11,2%). Questo significa che anche nella nostra regione i dati devono tener conto del distinguo fra seconde generazioni e MSNA, con le prime aventi un peso maggiore sulle stime totali. Imperia risulta essere la provincia con la più alta concentrazione di alunni stranieri (17,6%).
Possiamo decidere di tenere in considerazione questi dati, oppure possiamo decidere di non farlo, ma la scuola è sicuramente la dimensione che più aiuta a capire e a predire la composizione della popolazione italiana nei prossimi anni. Se da una parte il trend è quello di una progressiva diminuzione degli iscritti, dall’altra il numero di alunni stranieri iscritti è in aumento. Questi numeri, tuttavia, nascondono tutte quelle iscrizioni mancate, tutte quelle motivazioni che non siamo riusciti ad attivare e tutte quelle volontà a cui non siamo stati in grado di dare delle risposte adeguate. Troppi ragazzi lottano contro le ambiguità di un sistema che li vuole integrati, ma che non gli da gli strumenti per farlo.
Al di là della retorica sugli sbarchi, dovremmo iniziare a chiederci che cosa stiamo realmente facendo per integrare, sapendo che viviamo in una realtà che è multiculturale di fatto, ma dovrebbe esserlo anche nella sostanza. A distanza di anni la lezione di Don Milani dice ancora molto: “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diversi”: tutti hanno gli stessi diritti, si dice, ma alla fine si tende sempre ad escludere chi è diverso.
Qual è la società che vogliamo creare per le future generazioni? Su quali pilastri vogliamo che poggi? Le domande restano aperte, sta a noi rispondere.
L’EQUIPE DELLA COMUNITA’ GILARDI FONDAZIONE SOMASCHI
[1] In riferimento all’opera di Miguel de Cervantes Saavedra, in cui il protagonista si ritrova a “lottare contro i mulini a vento”, ad indicare la lotta contro una causa persa.